giovedì 14 maggio 2009

La scalata

Era già trascorsa la mattina da che avevo iniziato a salire, e il pomeriggio era imminente, la stanchezza era alle porte della debolezza.
Scalare una montagna, anche se di difficoltà media non è facile. Avendo trovato un appiglio sicuro, riprendevo fiato riflettendo sul da farsi. La gamba d’appoggio tremava nello sforzo: E mi venne da ridere, pensando al verso di Dante, quando si inerpicava sulle montagne infernali, “…il piè fermo era il più basso…”. Intanto mi guardavo intorno per vedere dove fosse meglio aggrapparsi per salire con più sicurezza. Udivo le folate della brezza fischiare contro gli speroni di roccia, e agghiacciarmi il sudore della fronte. Non si udiva altro rumore, nè altro che non fosse di solitudine e di vento. Guardai con attenzione ciò che mi sovrastava. In un lampo mi resi conto che non mancava molto per raggiungere una piccola balconata, ove mi sarei potuto riposare, prima di procedere per lo sforzo finale.
Facendomi forza, ripresi la salita, ma mi accorsi che il peso dello zaino non mi avrebbe consentito di poter andare sù ancora per tanto, la zavorra sulla schiena mi era ormai insopportabile.
Il respiro affannato mi opprimeva il petto fino al punto di ferirmi i polmoni, con la loro imprescindibile necessità. Facendomi violenza superai alcuni appigli, e appoggiando finalmente il gomito alla balaustrata, guadagnai l’approdo sicuro.
Vinto quel pericolo, subito una nuova ansia mi agitò, quella di essere colto dal buio, prima di aver portato a termine il mio viaggio ascensionale. Mitigai la nuova angoscia con un ragionamento. Vedendo la cima della vetta ancora lontana, pensai che con quel peso alla schiena non sarei riuscito a raggiungerla prima del buio. Così presi una decisione rapida: slacciai le fibbie e i cordoni dello zaino e apertone la bocca, mi liberai dei pesi superflui. La prima cosa che gettai nel vuoto furono le liti in famiglia, poi mi svincolai del dispiacere della morte della nonna, scaraventai nel baratro la separazione dei miei genitori, e giù anche la lunga malattia di mia madre, ed in fine mi sciolsi del fardello più grosso e pesante: i mille e mille disgusti della vita, scaricai quel peso, facendolo ruzzolare giù per il dirupo, poi cercai se vi fosse rimasto qualche altra cosa da buttare. Frugando nel fondo del sacco, vidi che era rimasto solo un piccolo involto di tela grezza, per altro leggerissimo. Lo svolsi e rimasi meravigliato, ritrovandovi i pochi momenti di felicità di cui non ricordavo nemmeno più l’esistenza.
Sorridendo richiusi lo zaino e ripresi l'ascesa verso la vetta. Ora con più sereno vigore.

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